A
scuola a piedi perché sullo scuolabus non c'è posto: la storia
di tre bimbi marocchini e dei loro genitori. Fosse un racconto,
sarebbe forse un episodio da libro Cuore. Invece, è solo la
cruda storia di un piccolo calvario quotidiano e di diritti
negati. Ne sono protagonisti Mohamed Barakat e la sua famiglia.
Le carte svelano: il capofamiglia dei Barakat, trentanove anni
compiuti lo scorso Capodanno, parte dal suo Marocco, a caccia di
fortuna, nel 1993. Arriva in Italia, sceglie Cassano. In Patria
ha lasciato la moglie, Milouda, e due figli, Ilyass e Hamada,
cui più tardi se ne aggiungerà un terzo, Abdeikah. Nel Belpaese
lo attendono invece un lavoro da commerciante ed un sogno:
potersi presto riunire alla famiglia lontana. Agli inizi del
2004 la speranza a lungo coltivata diventa frutto da cogliere e
gustare. Il cittadino Barakat, con l'aiuto dei suoi amici
italiani, i volontari dell'associazione "II Samaritano" e della
parrocchia lauropolitana dei Sacri Cuori, ottiene dalla Questura
il ricongiungimento familiare. Milouda ed i tre fanciulli
riabbracciano il padre. Insieme iniziano la nuova vita, in una
casa di rione Campo Sportivo. Mohamed Barakat ha un desiderio:
che i figli abbiano quel che lui non ha potuto avere. Che
studino, imparino l'italiano, possano spiccare il volo, forti di
saggezza e cultura. liyass, 13 anni; Hamada, 11; Abdeikah,
appena sette. I Barakat junior bussano alle porte dell'istituto
comprensivo "Giuseppe Troccoli": iscritti. Frequentano i corsi
di inserimento nelle aule di via San Nicola. Hanno un solo
problema: non sanno come andare a scuola. A casa nessuno
possiede un auto. La zona di residenza, poi, non è servita da
mezzi di trasporto pubblici. Non restano che i piedi: ogni
giorno, due volte al giorno per tutti i giorni dell'anno
scolastico, Mohamed chiude bottega, prende per mano i tre
bambini e s'incammina con loro: un chilometro all'andata,
altrettanto al ritorno. Da rione Ponte Nuovo a Lauropoli e
viceversa, con la pioggia ed il sole, tra il vento e la nebbia.
La Caritas diocesana ed il suo direttore, don Attilio Foscaldi,
si rivolgono al Municipio. Non avanzano richieste esorbitanti:
semplicemente, chiedono che ai Barakat sia consentito usufruire
del servizio di trasporto scolastico. Il 31 marzo 2004 una prima
lettera resta carta straccia: Palazzo di città promette ma non
mantiene. Tre settimane dopo, la Caritas torna alla carica.
«Come cittadini – scrive don Foscaldi in una seconda missiva,
indirizzata al commissario prefettizio - è umiliante vedere un
padre che rinuncia ad ore di lavoro per accompagnare i propri
figli a scuola, a piedi, percorrendo chilometri con qualsiasi
condizione climatica». Le risposte, sollecitate, non ci sono
neppure stavolta. La palla delle responsabilità rimbalza tra il
Municipio e la ditta che gestisce gli scuolabus municipale: le
buone intenzioni non fanno difetto, ma la realtà si presenta
ogni giorno identica a se stessa. Vede un padre e trée vivaci
bambini scarpinare su è giù per le strade di periferia. Vanno a
scuola, inseguono un futuro. A piedi. Sul pullman dei diritti, a
quanto pare, per loro non c'è posto.
Gianpaolo Iacobini
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