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Parroco Don Attilio Foscaldi - Coadiutore Don Michele Sewodo

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La Forza della verità - ricordo di Padre Pino Puglisi  

Il Samaritano - Istituto Comprensivo Lauropoli - Progetto Legalità

EDUCAZIONE ALLA LEGALITA'
"PROGETTO ARCOBALENO"

RICORDO DI PADRE PINO PUGLISI
Parroco del quartiere Brancaccio di Palermo, ucciso dalla mafia
 

------------------------------ PROGRAMMA ------------------------------

Ore 9:30 Proiezione del film " ALLA LUCE DEL SOLE"
  di Roberto Faenza, con Luca Zingaretti
  per gli alunni dell'Istituto Comprensivo "G. Troccoli"
   
Ore 18:30 CINEFORUM
  Proiezione del film "ALLA LUCE DEL SOLE"

A seguire

"Pensieri, riflessioni e commenti"

Coordinano:

Don Attilio Foscaldi - Presidente de "Il Samaritano"

Prof. Pietro Maradei - Istituto Comprensivo "G. Troccoli"

   

Partecipa

Maurizio Artale - Responsabile del Centro "Padre Nostro"
Brancaccio - Palermo
 

MARTEDI' 19 APRILE 2005
AUDITORIUM "F. TOSCANO" - LAUROPOLI

Padre Pino Puglisi - Biografia

15 settembre 1993: in Sicilia, a Palermo, nel giorno del suo 56° compleanno, veniva ucciso dalla mafia don Giuseppe Puglisi, un sacerdote che, lontano dai riflettori, aveva sempre vissuto il suo amore per il Vangelo schierandosi dalla parte degli ultimi, non riconoscendo e contrastando la mentalità e il predominio mafiosi. Nei mesi immediatamente precedenti al suo delitto, bombe della mafia erano esplose a Roma in via Fauro (14 maggio), a Firenze in via dei Georgofili, nei pressi degli Uffizi (27 maggio), a Milano in via Palestro (27 luglio) e di nuovo a Roma, in quella stessa notte, davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano e alla chiesa di San Giorgio al Velabro: 10 morti (tra cui due bambini), 95 feriti, danni per miliardi al patrimonio artistico. Secondo i collaboratori di giustizia, un altro attentato era stato preparato per settembre: un’auto imbottita di esplosivo doveva saltare davanti allo stadio Olimpico di Roma. Il progetto non ebbe esito proprio per l’intensificarsi delle indagini dopo il delitto Puglisi. Si consumava così, dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio che avevano coinvolto nel 1992 i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, un altro drammatico momento della storia italiana. Il 9 maggio 1993, ad Agrigento, Papa Giovanni Paolo II aveva scagliato un terribile anatema contro la mafia: “Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. [...] Nel nome di Cristo […], mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”. Come senza precedenti era stato il discorso del Papa ad Agrigento, così senza precedenti fu la risposta dei boss, da Roma all’uccisione di don Puglisi.
Giuseppe Puglisi era nato a Palermo il 15 settembre 1937, da una famiglia umile, ma piena d’amore e ricca di valori. Il padre è calzolaio, la madre sarta. Viene ordinato sacerdote il 2 luglio del ’60.
Già a partire dai primi incarichi, la sua opera si svolge su due fronti: attività con i giovani e battaglie sociali in difesa della legalità e dei diritti negati ai più deboli: educazione, salute, abitazioni decorose. Insegnò matematica e poi religione in diversi istituti fino alla morte. Alcuni dei suoi alunni ricordano che, all’inizio di un anno scolastico, entrò in classe con uno scatolone vuoto sotto il braccio. Dopo averlo posato a terra, ci saltò sopra. “Avete capito chi sono io?”, chiese nello stupore generale. “Un rompiscatole”, concluse con il sorriso sulle labbra. Far sì che i giovani pensassero con la propria testa, interrogandosi su quello che facevano o meno, che rifiutavano o accettavano, fu uno dei suoi costanti obiettivi. Visse sempre poveramente, mangiava scatolette pur di risparmiare il tempo che dedicava interamente agli altri, la sua modestissima casa era piena solo di libri di teologia, filosofia, psicologia e pedagogia. Era un intellettuale raffinato, ma non lo faceva capire, mettendo la sua cultura a servizio di un’innata capacità di entrare profondamente in contatto con gli altri, a prescindere dall’estrazione sociale o dal titolo di studio della persona che si trovava davanti. Seppe dialogare e collaborare con chiunque cercasse giustizia e solidarietà, anche se non credente e su posizioni ideologiche diverse dalle sue. Gli proposero gli incarichi più gravosi, scartati da tutti, e lui li accettò, fino a tornare nel quartiere dove era vissuto da bambino.
Nel 1990 diventa infatti parroco della comunità di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, uno dei più disagiati e ad alta densità mafiosa. È una terra di nessuno, dove il lavoro nero, il contrabbando, lo spaccio di droga, i furti, la povertà sono all’ordine del giorno. I bambini vivono in strada e moltissimi di loro evadono la scuola, anche perché Brancaccio è l’unico quartiere di Palermo in cui non esiste una scuola media. C’è la scuola elementare, ma molte persone non hanno conseguito neppure quella licenza. Manca anche un asilo nido. C’è inoltre povertà anche dal punto di vista morale e diversi adulti, ma anche ragazzi, sono stati o sono tuttora ospiti del carcere, altre persone vivono agli arresti domiciliari.
Di fronte a questa situazione, don Puglisi non si scoraggia. Sostenuto da alcuni collaboratori affidabili, organizza un corso di alfabetizzazione e lezioni di teologia di base. Anche a livello liturgico, opera perché torni a risaltare la spiritualità dei riti, che depura di molte tradizioni folkloristiche. Rifiuta l’appoggio dei politici locali, che non esita a criticare in pubblico per aver permesso il degrado di Brancaccio. Ma non basta. È necessario seguire soprattutto gli adolescenti e gli anziani ed egli, con l’aiuto di moltissimi, riesce a comprare una palazzina in vendita proprio di fronte alla chiesa di San Gaetano. Il 29 gennaio del 1993 viene inaugurato il Centro Padre Nostro. Don Puglisi è convinto che a Brancaccio i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti perché con loro si è ancora in tempo, anche se già a quell’età non è semplice, perché tanti sono costretti a lavorare o a rubare e tante bambine a fare di peggio, visto che esistono nel quartiere anche casi di prostituzione minorile.
Il bambino avrebbe potuto cogliere al Centro un modello di comportamento diverso, anche solo guardando due adulti che si trattano con gentilezza e rispetto e verificando che ci sono regole da seguire. Per i giovani è molto importante poter contare sul consenso del gruppo, della società. È quello che la mafia chiama “onorabilità”. Per questo era necessario far sentire i ragazzi partecipi di un “gruppo” alternativo a quello familiare, dove spesso il codice mafioso affonda le sue radici, esaltando chi bara e chi è più furbo. Fondamentale è il lavoro contro la mafia da portare avanti nelle scuole in modo capillare e premere sulle autorità amministrative perché compiano il loro dovere, tentando di coinvolgere il maggior numero di persone in una protesta per i diritti civili.
Gli ultimi mesi di don Pino a Brancaccio sono segnati da una “escalation” di minacce e avvertimenti contro di lui e i suoi collaboratori. Per il 25 luglio 1993, don Pino organizza una manifestazione per ricordare il giudice Paolo Borsellino. Di mattina, durante la Messa, pronuncia un’omelia durissima: “Gli assassini, coloro che vivono e si nutrono di violenza, hanno perso la dignità umana. Sono meno che uomini, si degradano da soli, per le loro scelte, al rango di animali. Mi rivolgo anche ai protagonisti delle intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi tenta di educare i vostri figli alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile”. La manifestazione del pomeriggio si risolve in una grande festa. Ma alcuni volontari e don Pino stesso vengono minacciati.
A chi lo invitava alla prudenza diceva: “Non ho paura di morire se quello che dico è la verità”.

“ Me l’aspettavo”: furono queste le ultime parole di don Pino, rivolte ai suoi killer con un sorriso. Un sorriso che sconvolse la vita del suo assassino, Salvatore Grigoli, che, all’epoca del delitto, aveva 28 anni ed era sposato con tre bambini. Fu arrestato il 19 giugno del ’97 dopo un lungo periodo di latitanza, aveva compiuto altre decine di delitti e attentati. Dopo l’omicidio Puglisi, è diventato un collaboratore di giustizia.
Don Pino, semplicemente, non riconobbe il potere della mafia, invitando la gente a riappropriarsi, allo stesso modo, della libertà. È un altro pentito, Giovanni Drago, a ricordare le cause che scatenarono la rabbia dei boss: “Il prete era una spina nel fianco. Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada. Faceva manifestazioni, diceva che si doveva distruggere la mafia. Insomma ogni giorno martellava, martellava e rompeva le scatole”.
E’ in corso il suo processo di beatificazione come martire: già conclusa la fase diocesana, la documentazione è ora all’esame della Congregazione per le cause dei Santi in Vaticano.

sito ufficiale del film »

Sinossi
"ALLA LUCE DEL SOLE"
Un film di Roberto Faenza

SOGGETTO
"Imputato, dica alla Corte perché l'avete fatto".
"Quel prete prendeva i ragazzi dalla strada, ci martellava con la sua parola, ci rompeva le scatole".

Era un uomo solo, disarmato.
Per fermarlo lo chiamarono padre, perché era un sacerdote.
L'assassino, 28 anni, 13 omicidi alle spalle, teneva in pugno una pistola col silenziatore. Un altro, mentendo, disse: "E' una rapina".
L'uomo disse solo tre parole: "Me lo aspettavo".
Sorrise, come faceva sempre con tutti.
E fu l'ultimo dei suoi sorrisi.
Chiamato nel 1990 dal vescovo di Palermo a occuparsi della parrocchia di un quartiere alle porte della città, Brancaccio, in meno di due anni riesce a costruire un Centro di accoglienza e coadiuvato da un gruppetto di volontari, giorno dopo giorno raccoglie dalla strada e dalla perdizione decine di piccoli innocenti.
Presto capisce che per incidere in quel tessuto disgregato bisogna fare e dare di più. Significava scontrarsi contro l'inerzia e l'incomprensione della burocrazia locale: per avere una rete fognaria, una scuola, un distretto sanitario, tutte cose che a Brancaccio mancano da sempre.
Inevitabilmente il suo percorso lo porta a entrare in conflitto con gli interessi del potere mafioso, che da decenni domina la vita quotidiana del quartiere.
Sono gli anni delle stragi di Capaci e di via d'Amelio, dove nello spazio di pochi mesi perdono la vita i giudici Falcone e Borsellino insieme a tanti altri.
Proprio gli stessi clan che organizzano le stragi si trovano di fronte quel prete indomabile, quel parroco che insegna ai ragazzi a credere in un mondo diverso, a non sottostare alla sopraffazione.
Lo avvertono: bruciano le case dei suoi collaboratori, incendiano la chiesa; lo minacciano, cercano di fare il vuoto attorno a lui, ma la sua fede non cede alle intimidazioni.
E allora per toglierlo di mezzo non resta che la strada della viltà estrema.
Questa è la storia di don Giuseppe Puglisi, ricostruita dopo dieci anni di ricerche, testimonianze, confidenze.
Fu assassinato il 15 settembre 1993, il giorno del suo compleanno, perché sottraendo i bambini alla strada, li sottraeva al reclutamento dei boss, che nel rione di Brancaccio, dove era nato, hanno creato da tempo immemorabile un vero e proprio vivaio di manovalanza criminale.
Ma se don Puglisi fu giudicato da Cosa Nostra una fastidiosa presenza della quale liberarsi brutalmente, il suo assassinio fu in realtà l'epilogo di una lunga catena di incomprensioni e silenzi da parte di troppi, persino degli intellettuali "schierati", abituati a esaltare gli eroi di cartapesta e a dimenticare gli umili che lavorano in silenzio.
Questa storia si potrebbe definire un caso di forzata solitudine.
La solitudine dell'uomo che lotta per i suoi ideali, determinato sino al sacrificio.
"L'uomo che sparava dritto", lo chiamavano i suoi parrocchiani, tanto alieno al compromesso era il suo credo.
"Non sono un eroe", diceva di sé, ben sapendo che per la sua attività era stato condannato a morte.
Ai bambini, al tentativo di offrire loro la possibilità di crescere in un mondo migliore, ha dedicato la sua vita don Puglisi, per gli amici e i seguaci soltanto Pino, oggi in cammino verso il processo di beatificazione in quanto martire: citato più volte dal Papa, additato ad esempio da un numero crescente di giovani, credenti e non credenti.
Dal suo insegnamento emerge una ineguagliabile lezione d'amore per la giustizia e la non violenza, insieme a un forte messaggio pedagogico.
Ma non sono solo questi i motivi che possono spingere un regista a realizzare un film su una materia tanto incandescente.
C'è, in fondo, il desiderio di portare alla platea più vasta possibile e non solo italiana la conoscenza di una vicenda che ci coinvolge tutti. Per un desiderio forse impossibile di risarcimento abbiamo scelto di raccontarla.
Perché raccontare l'impossibile è la forza e insieme la grande sfida del cinema.
 

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